Intervista a Luigi
Mariano
Ritenuto dalla critica (Andrea Scanzi, “Il Fatto
Quotidiano”) uno tra le dieci leve cantautorali più significative degli anni
Duemila, Luigi Mariano, galatonese
di nascita ma residente a Roma da più di vent’anni, risponde alle nostre dieci
domande con grandissima disponibilità e competenza.
Il tour di “Asincrono”,
il suo ultimo album, sembra non avere mai fine: Luigi ha già calcato le platee
di tutta Italia, ricevendo ovunque riscontri positivi da parte di pubblico e
critica. In particolare, con il brano “Edoardo” – dedicato a Edoardo Agnelli e
al rapporto padre-figlio – ha vinto, nel 2011, il Premio Bindi come miglior
testo.
Nel suo repertorio, canzoni ironiche e provocatorie, ma
anche d’impegno civile e denuncia sociale.
1) Qual è il peccato
peggiore per un musicista?
La mancanza di umiltà. Ma non quella apparente, anzi:
abbasso la falsa modestia. Parlo di atteggiamento intimo, reale. Inutile
bluffare con sé stessi. È poi deteriore lo snobismo, la
chiusura. Non c’è cosa peggiore di credere che anche chi riteniamo inferiore
qualitativamente non possa insegnarci qualcosa, non solo come persona, ma anche
nel lato artistico.
Un altro grande peccato è l’esibizionismo fine a se stesso, ossia senza costrutto dietro,
senza un percorso dentro.
2) Che cosa ti fa
ridere?
La dissacrazione intelligente. Destrutturare le nostre
ataviche “costruzioni” umane, gli usi o le rassicuranti consuetudini, che da
una parte ci permettono sì di vivere e organizzarci con “apparente” stabilità,
ma dall’altra spesso c’ingabbiano come in una prigione, soprattutto mentale. Mi
fa scoppiare la risata fragorosa. In questo senso, per me, Carmelo Bene è più
comico di Totò, Benigni e Troisi messi assieme, che pure adoro.
3) Associa tre brani a
tre stati d’animo.
Sebbene nel vestito sia soft e solo malinconica, la
musica di “Moon River” per me è dolore
puro, straziante e lacerante, mi racconta qualcosa che doveva essere e non è
stato, che si sognava, ma che è andato perduto per sempre dallo scorrere
ineluttabile della vita.
“Thunder Road”
è coraggio, forza e speranza, un invito ad andare incontro alla vita, a non
morire dentro, a non arrendersi, a uscire dal proprio guscio per trovare se
stessi nel mondo.
“Vecchio frack”
è un modo di descrivere una storia drammatica con soave leggerezza,
fischiettando: dovremmo poter avere sempre questo sguardo meno pesante davanti
alle ingombranti vicende della nostra vita.
4) In che cosa credi?
Innanzitutto credo nel percorso che ho scelto, altrimenti
non farei il musicista.
Credo poi nella sensibilità, la profondità, l’apertura
mentale, il cervello in movimento. Nella cultura. Nella curiosità sana e
costruttiva per il mondo e le persone. Nel garbo, la gentilezza, la pazienza,
la discrezione, l’umanità. Nell’onestà intellettuale. Nell’ironia e autoironia,
nel rispetto, la purezza d’animo, il guardare “l’altra faccia” delle cose, lo
smuoversi dalla massa o dai pecoroni, il coraggio di lottare per le proprie
idee e quello di cambiarle.
5) Chi è il musicista
più significativo di sempre?
Chi può dirlo… Bach, Mozart e Beethoven hanno contato
davvero molto.
Morricone per il Novecento di sicuro. Sebbene io abbia
grande ammirazione e vera gratitudine per gli “sperimentatori” (vedi l’immenso
John Cage o il primissimo Battiato), sinceramente ne ho ancora di più verso
chi, rompendo col passato e risultando dunque un clamoroso innovatore (che
dunque dovrebbe spiazzare), riesce al contempo a non restare nella nicchia, ma
a conquistare il popolare. Sperimentare restando nella nicchia è normale,
appartiene a grandi talenti che fanno progredire, ma non ha nulla di clamoroso;
avere il coraggio di farlo riuscendo allo stesso tempo anche ad arrivare a
tutti è da veri geni.
In questo senso Modugno o Battisti sono dei mostri
inarrivabili del loro tempo.
6) Che cosa ti fa più
paura?
La chiusura mentale è al primissimo posto.
E mi fa paura l’eccesso di paura, che porta alle
diffidenze esagerate, poi ai razzismi e infine alle guerre.
7) La musica svolge un
ruolo sociale?
Per me dovrebbe
svolgerlo, eccome. Ma non mi sento di dare ricette o pretendere che sia così
per forza. Il concetto di ruolo
sociale, d’altro canto, non per forza è da associare al concetto di impegno o di cultura, che io comunque ritengo doveroso per la musica. Nel ruolo
sociale può essere anche contemplato lo svago, la leggerezza assoluta. Serve
anche quello. Il problema del giorno d’oggi è che il ruolo sociale della
musica, soprattutto per colpa della tivù, ma non solo, sta via via diventando
SOLO lo svago e la leggerezza. È questo il grossissimo problema. L’aspetto
culturale si sta affievolendo, sin quasi a sparire.
8) Qual è il tuo ricordo
musicale più vecchio?
“La tartaruga” di Bruno Lauzi e “Sandokan”, che cantavo a
tre anni. Ho ancora le registrazioni audio e sono inserite nella ghost track
del mio disco.
9) Qual è il rumore che
ti disturba di più?
Detesto e soffro talmente tanto i rumori, anche a livello
fisico, da obbligare me stesso a vivere più di notte, in maniera dunque
antifisiologica, quando tutto tace. A parte il solito martello pneumatico (che
non fa piacere a nessuno), il rumore che mi disturba di più è la chiacchiera
molto concitata ad alto volume, piuttosto gracchiante, direi quasi urlante, tra
due o tre persone un po’ su di giri (per carattere o per fatti accaduti), ma
che non necessariamente stiano litigando.
10) Cosa non vorresti
mai sentire alla radio o vedere in televisione?
Programmi che offendono l’intelligenza. La tivù la vedo
poco, proprio per questo. In radio ogni tanto si trova invece qualche
piccolissima oasi di luce.
Silvia Resta