La parola è
maschera e specchio, scudo e spada, sogno e realtà, libertà e prigione, vita e
morte, tutto e il contrario di tutto, nonché il file rouge di questo
nuovo maggio e del suo stato di calma apparente.
«Perché
Michelangelo scrisse anche sonetti straordinari? E perché Leonardo scriveva
fiabe? Perché, più del marmo, per scolpire una società servono le parole.
Scolpirla non nel senso di rappresentarla, quanto, piuttosto, di cementarla e
plasmarla, perché la parola è il perno intorno al quale la nostra civiltà
ruota. La democrazia si espande con la pace e con le parole e non, come sta
accadendo, con la guerra e l’omertà. La vera ragione della civiltà è la
parola». Questa la riflessione di Lucio
Dalla nella prima edizione di Babel, il Festival della parola della Valle
D’Aosta, di cui volle essere il primo testimone assieme al compagno Marco Alemanno. Il Festival giunge
quest’anno alla terza edizione, e non è un caso se l’attore salentino ha scelto
per il suo ritorno artistico proprio quel palcoscenico e proprio “Solo”, quel
reading così suggestivo e visionario sul tema della solitudine che ora, senza
l’accompagnamento di Dalla, ha un suono diverso: il silenzio del dolore rotto
dal riappropriarsi delle parole.
«Laddove
finiscono le parole, incominciano le spade» è la frase, presa in prestito da
Nietzsche, che Lucio Dalla dedicò alla nascita del nuovo evento culturale per
sottolineare quanto la democrazia di una società poggi sulla parola, e quindi
sul dialogo, sul confronto, sulla libertà di pensiero. Il veicolo più efficace
e immediato della comunicazione è l’arte, e l’intreccio musica-politica è un
fenomeno che affonda le proprie radici nella storia. Basti pensare all’influsso
di Giuseppe Verdi durante il Risorgimento Italiano, alla musica nera come
strumento di emancipazione e di identità, o al rock impegnato come strumento di
protesta. La forza d’urto nel veicolare valori e messaggi attraverso la musica
è tale che il potere rivoluzionario di cantanti e cantautori è da sempre il più
temuto nei Paesi dove la democrazia è ancora un sogno. Un esempio per tutti il
caso del giovane cantautore iraniano Arya
Aramnejad, appena condannato a un anno di prigione per aver pubblicato su
internet le sue canzoni anti-regime. A essere incriminato è il suo canto di
protesta contro le ingiustizie della sua terra, un canto carico di rabbia e
speranza: «Il silenzio delle mie labbra che trattiene l'esplosione della mia
gola. Nessuno sa quello che ho nel cuore in questi giorni, sotto la censura in
questa città che ti toglie il fiato. Credo ancora che la primavera verrà. Il
giorno senza il carcere per noi. Che non sia la pistola, la risposta ad una
domanda semplice. Che nessuno venga ucciso per quello che pensa. Che nessuna
testa venga lasciata alla corda!». Per Arya si tratta di un ritorno in carcere:
da ormai due anni è perseguitato con la stessa accusa, oltre a essere stato
sottoposto a maltrattamenti e torture, e perfino umiliazioni sessuali.
Influssi
dittatoriali anche
nell’Italia degli ultimi anni, con una censura che ha riguardato essenzialmente
l’ambito televisivo. Se il controllo partitico sugli organi di stampa e sulla
tivù di Stato è un nodo ancora da sciogliere, va comunque messa in luce la forza dei nostri cantautori, che non hanno mai avuto
bisogno di mezzi radiotelevisivi per far arrivare i loro messaggi sociali a un
pubblico vasto. L’unico evento musicale televisivo a carattere politico che
esiste e resiste, nonostante i continui tentativi di affondarlo, è il
concertone del Primo Maggio in piazza San Giovanni a Roma. Quest’anno la parola
“festa” associata ai lavoratori è stata alquanto contraddittoria e beffarda
visto l’oltre 30% di disoccupazione giovanile, le morti bianche, i suicidi, gli
esodati, l’inflazione, il caro benzina e una pioggia di tasse sulle fasce più
deboli della società. A introdurci nella Woodstock di Cgil, Cisl e Uil le
parole del ministro Fornero: «Non è un bel primo maggio». Di tutt’altra materia
invece le parole usate per scandire le nove ore di musica non-stop davanti a
oltre 700mila ragazzi: speranza, passione, futuro.
Particolarmente
nutrita la scena musicale pugliese: da Taranto Mama Marjas, cantante reggae dalla voce scura, da Bari i Fabryka, gruppo dal sound
internazionale, e Caparezza, grande
mattatore della serata, da Lecce i Sud
Sound System, che hanno rispolverato il cosmopolitismo illuminista («Simu
salentini de lu munnu cittadini»). Tra i colpi di teatro di uno spettacolare
Lorenzo Kruger, leader dei Nobraino,
che si tuffa nel pubblico e si rade i capelli in diretta, le note svociate e
stonate di Noemi e di una Nina Zilli prontamente bollata come
“sopravvalutata” da Syria su Twitter.
Non
sono mancati: appelli contro la violenza sulle donne; cover dei grandi classici
del rock, non del tutto riuscite nonostante un maestro come Mauro Pagani nel
triplice ruolo di arrangiatore, musicista e direttore d’orchestra; frasi di
importanti artisti, da Woody Allen al sempre presente Lucio Dalla. Anche
graditi ritorni: è il caso di Marina Rei,
che riappare e dà voce ai drammi umani presentando in anteprima “Qui e dentro”,
nuovo brano di denuncia e testimonianza sul sovraffollamento, i maltrattamenti
e i suicidi nei penitenziari italiani.
Che
per fini sociali e politici la parola degli artisti possa essere non solo
cantata ma anche parlata, e (oggi come non mai) scritta, ce lo ricorda – in
questo maggio di elezioni comunali – anche Mietta,
tornata nella sua città con una missione quasi impossibile: salvarla.
Protagonista della canzone italiana, nonché attrice e scrittrice, sfrutta la
sua popolarità per sostenere Angelo Bonelli, il leader dei Verdi candidato
sindaco a Taranto, e tuona: “Io voglio portare qui mio figlio perché è una
città bellissima. Dobbiamo dire a gran voce basta alle emissioni di sostanze
inquinanti. Taranto può avere un futuro diverso”. Assolutamente da guardare il
docu-film d’assalto del suo amico Giovanni
Cirfiera, cantautore e attore leccese, appena caricato su YouTube: “I
nostri mostri – Viaggio nel Salento”. Un viaggio on the road lungo il paradiso
della morte, che lascia senza parole.
Sul
piano prettamente musicale l’agenda salentina degli eventi live della prima
settimana di maggio si apre nelle campagne di Martano, nel cuore della Grecìa,
con il “Primo maggio a Kurumuny”: una festa che miscela natura, gioco,
gastronomia, poesia, danza, teatro e numerosi momenti musicali, dal rock dei Muffx al reggae di Papa Ricky, passando per l’etnomusica dei Kamafei, protagonisti anche sul palco del Jack’n Jill di
Cutrofiano, dove giovedì 3 hanno presentato in anteprima i brani del loro
quarto album, “Rispetto”. Interessanti le riletture in chiave sinfonica del
repertorio di Freddie Mercury nello spettacolo “Symphonic Queen”, con Michelangelo Carbonara, il coro Lirico di Puglia e Basilicata e l’Orchestra ICO
della Magna Grecia, in scena mercoledì 2 al al Teatro Politeama di Lecce.
Stesso restyling per alcune tra le più belle canzoni di Ron, che si è esibito in concerto (venerdì 4 a Galatone) con l’Orchestra
Terra D’Otranto, diretta dal maestro Antonio Palazzo, e l’ammaliante voce
soul-jazz di Piera Pizzi. Sabato 5 è
stata la notte della Rivolta, la giovane etichetta salentina che ha passato in
rassegna sul palco delle Officine Cantelmo di Lecce tutte le sue band: Playontape, My Secret Windows, Le Carte
e The Metropolitans. Domenica 6 i
leccesi si sono divisi tra i Cantieri Teatrali Koreja, che hanno ospitato Anna Cinzia Villani, una delle voci più
rappresentative della musica popolare salentina, per l’anteprima del suo
secondo album “Fimmana, mare e focu!”, e il Teatro Paisiello, dove è invece
andata in scena la data zero del “Va tutto bene tour” di Antonio Maggio (ex Aram Quartet). Tra gli ospiti del Maggio
salentino, con cui si chiude una settimana assai intensa, Davide Mogavero e le band emergenti Toromeccanica e Jack in the
head, con Simone Perrone alla voce.
Ugo Stomeo
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