Quattro chiacchiere in rock. Intervista a Jessica dainese
«The future of rock belongs to women» diceva
Kurt Cobain. È proprio
grazie al re del grunge che nasce la passione per la musica di Jessica,
giornalista e appassionata che per prima arriva a scrivere un libro sul rock femminile in Italia.
Quarant'anni di rock femminile italiano in 200 pagine piene di fotografie,
curiosità e notizie che non troverete da nessun'altra parte. A lei dedichiamo
una bonus track.
Il tuo
primo ricordo musicale.
Il primo in
assoluto? Uno dei primi: quando ero piccolina, prima metà degli anni Ottanta,
mi piaceva molto Alberto Camerini. Chiamavo le radio locali che facevano canzoni a
richiesta e chiedevo “Tanz bambolina”. Da bambina mi piaceva molto questa
immagine da bambola. E questo credo sia il mio ricordo più vecchio.
Credi in
un mondo tutto rosa o nero e rosa?
Non vorrei dividere il rock in nero e rosa come genere maschile e femminile. Secondo me la musica – il rock – non dovrebbe avere genere o sesso. Ho sentito la necessità di scrivere questo libro perché in Italia non c’erano libri che parlassero delle band femminili. Soprattutto di quelle degli anni Sessanta, Settanta, Ottanta. Magari quelle più recenti riescono ad avere più spazio, però le storie delle band più vecchie rischiavano di andare dimenticate. Vorrei che non ci fosse stato il bisogno di scrivere un libro sulle donne del rock, perché significava che son trattate in maniera paritaria nelle riviste di musica e nei libri dedicati al rock. Invece quando si parla di rock non si parla di queste band femminili, o se si parla di band femminili non si parla di quelle italiane, perché magari si parla delle Hole, di Patti Smith, ma delle donne rock in Italia non parlava nessuno.
Non vorrei dividere il rock in nero e rosa come genere maschile e femminile. Secondo me la musica – il rock – non dovrebbe avere genere o sesso. Ho sentito la necessità di scrivere questo libro perché in Italia non c’erano libri che parlassero delle band femminili. Soprattutto di quelle degli anni Sessanta, Settanta, Ottanta. Magari quelle più recenti riescono ad avere più spazio, però le storie delle band più vecchie rischiavano di andare dimenticate. Vorrei che non ci fosse stato il bisogno di scrivere un libro sulle donne del rock, perché significava che son trattate in maniera paritaria nelle riviste di musica e nei libri dedicati al rock. Invece quando si parla di rock non si parla di queste band femminili, o se si parla di band femminili non si parla di quelle italiane, perché magari si parla delle Hole, di Patti Smith, ma delle donne rock in Italia non parlava nessuno.
Da dove
nasce il fenomeno delle band al femminile?
Beh, diciamo
che fin dalla nascita del rock ci sono sempre state interpreti, musiciste o
anche band, perché anche in Italia negli anni Sessanta nella scena beat c’erano
molte band di ragazze. Però secondo me il momento favorevole alla nascita di
band femminili per come le intendiamo oggi è stato negli anni Settanta, quando
la musica punk ha incontrato il movimento femminista. Dall’unione di questi due movimenti sono nate le prime band indipendenti di donne, come le Slits, le Raincoats, o come in Italia le Clito. In italia, prima delle Clito, le band non erano molto indipendenti: erano formate dal manager, o dal padre che aveva delle figlie che studiavano al conservatorio. Non erano esperienze che
nascevano da loro.
C’è
un'artista che ti ha ispirata maggiormente o che magari ti rappresenti meglio?
Kathlee Hanna
delle Bikini Kill. Ho iniziato ad ascoltare musica rock quando ho scoperto i
Nirvana. E poi grazie ai Nirvana ho scoperto le Hole e tutte le band della
scena Riot grrrl che erano amiche di Kurt Cobain, come le Bikini Kill. Kathleen Hanna ha rappresentato la figura più importante perché da lì ho
conosciuto il movimento Riot grrrl, mi sono messa a scrivere fanzine e ho
conosciuto moltissime ragazze in Italia che suonavano, facevano fanzine,
facevano foto. E lei è stata un esempio anche per altre band, sicuramente.
Qual è
secondo te il peccato maggiore per una musicista?
Per una
musicista donna? Secondo me quando cercano di copiare i cliché maschili del
rock. A me piacciono le Runaways , ad esempio, ma replicavano i cliché maschili
del rock nel modo di porsi, di suonare e di vestire. Invece ad esempio band
come le Sleeps, le Raincoats mettevano nella musica un lato femminile forte. Io
preferisco questo tipo di approccio anziché copiare le band maschili.
C’è una
cosa che ti fa paura?
Paura, no. Ma
mi dispiacerebbe perdere la passione per la musica, non saprei che cosa fare.
Cosa ti fa
ridere?
South park! South park mi fa ridere!
South park! South park mi fa ridere!
C’è un
rumore che ti dà fastidio?
Non mi
piacciono i bambini che piangono! Soprattutto in treno. Ho fatto sette ore di
treno venendo qui con dei bambini che piangevano.
Associa
tre brani a tre stati d’animo
“Angela” dei
La Crus, che è di Tenco. Tristezza.
“Rockstar” delle Hole. Allegria, mi dà carica.
“White boy” delle Bikini Killer. Rabbia.
“Rockstar” delle Hole. Allegria, mi dà carica.
“White boy” delle Bikini Killer. Rabbia.
Secondo te
le note musicali possono avere un potere sociale?
Sicuramente.
Molte delle band che ho intervistato – soprattutto degli anni Settanta e
Ottanta, e della scena riot grrrl – usavano la musica per trasmettere un messaggio
sociale, che arrivava al mondo. La musica è sempre immediata.
Cosa dici
alle ragazze del rock?
Si dice che
le donne sono gelose tra loro e che non fanno comunità come i maschi, e secondo
me questa cosa non è vera, perché ci sono delle ragazze come le Roipnol Witch,
che hanno creato un movimento che si chiama Rock with Mascara che unisce le
band femminili di tutta Italia. Fanno network, si danno informazioni, e c’è un
rapporto di amicizia, che è molto importante. Secondo me le band di oggi dovrebbero
creare questo. Perché è più facile farcela insieme. Farcela da soli è più
difficile.
Nadia Vecchio
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