Gli
altri Salenti possibili
Contronatura
Festival @ Piazza San Giorgio - Melpignano (7 settembre 2012)
Obbligo (per turisti
tarantati e non) di restare nei paraggi! Perché la musica nel bel Salento di
facce ne ha tante e diverse, e ci si sente in dovere di gridarlo forte in giro.
Un plauso va, anzitutto, a una eclettica Melpignano che colleziona e concede
palcoscenici variegati, e che ci mette un attimo a passare dalla Magna Grecia
dionisiaca delle notti in diretta televisiva alle intime camerette della
Glasgow pop degli anni Ottanta.
Che poi, prima di farci
sorprendere da quest’ansia da prestazione, all’epoca in cui le tarante si
occupavano per mestiere delle donne nei campi di tabacco e non erano tenute a
comparire sulle magliette dei visitanti, era proprio Melpignano a ospitare i
grandi happening di musica
indipendente. Basti tornare con la mente ai vari “Melpignano Rock” ed
“Econcertologia”, o a quella che le radio dell’epoca sventolarono come «la
lunga notte del rock italiano», nel lontanissimo 1987, che vide alternarsi sul
palco gente come i CCCP, i Sick Rose, i Moda di Andrea Chimenti
e i primi Litfiba di “17 Re”. Questi
ultimi salirono sul palco alle 3 e mezzo per concludere il concerto ad alba già
avanzata (e ricordarlo nell’anno in cui Bregovic
smonta le tende alle 2:00, lasciando centomila anime a vagare per camioncini,
mette anche una certa nostalgia).
Il Contronatura Festival è una bella iniziativa che prova, insomma, a
rinfrescare la memoria cercando di ritagliarsi una strisciolina in un’hype così sbilanciato verso l’attività
di import/export culturale che va per la maggiore negli ultimi anni. Un
progetto finanziato interamente dal bando regionale di Principi Attivi, dietro
le cui quinte troviamo l’associazione Odelay, una bella équipe di inguaribili
sognatori: così li hanno definiti in giro per blog, e dal cartello artistico
scelto non si fatica certo a convincersene. Tra loro milita anche, tanto per
dirne una, uno degli artisti salentini più trascurati sul suolo natio (nonché tra
i più schivi), ma che è invece apprezzato da critica e web-community
internazionali, e che risponde al nome di Giorgio
Tuma. Una proposta artistica forse un po’ intransigente, a giudicare dalle
band scelte per l’esibizione, formazioni perlopiù misconosciute e alcune alla
vigilia dell’esordio, ma che ci tiene a preservare un gusto e un’attitudine ben
delineati, dal respiro internazionale e dal manifesto alquanto ambizioso: “tracciare una linea di novità, portando
all'attenzione del pubblico salentino e italiano le nuove tendenze in ambito
musicale internazionale”. Attitudine e gusto son squisitamente
pop-oriented, nell’accezione più storicamente “indie” del termine, il trend internazionale a cui si fa
riferimento efferatamente revivalistico (ma in fondo così è se ci pare!).
Start intorno alle 22:00 con
una giovane formazione nord-pugliese, gli Eels
on Heels, già vincitori dell’edizione leccese di Italia Wave nel 2011 e
autori di un’elettronica oscura e ossessiva, sfumata di morbosità industriali e
atmosfere dark col neo di divenire, forse, un po’ ammorbante col tempo e
raramente incisiva sul piano live. A seguirli sul palco gli Holidays, seconda formazione italiana
proveniente dalla capitale. Dalla loro un indie pop sognante e dolciastro, che
va a sciorinare sfacciatamente uno per uno tutti gli stereotipi del revival new
wave: abuso di delay su voci e chitarre, climax rarefatto, beat in quattro
quarti fino alla nausea, aura piaciona anni Ottanta, etc. Un live che scorre
via però piacevole e senza fronzoli, a dimostrazione della buona tecnica della
band e di una discreta tenuta del palco.
Gli stranieri faranno meglio
di noi, a partire dai londinesi Weird
Dreams, con un apprezzato primo album all’attivo, che più che un gruppo di
revival sembrano schizzati fuori direttamente da un garage della “young
Scotland”. I loro circa quaranta minuti di live chiudono a chiave piazza San
Giorgio, e i circa seicento spettatori presenti, nella cameretta di un
timidissimo Edwyn Collins (Orange Juice) con melodie, cori –
devoti senz’altro ai Beach Boys – e
chitarre luminosissime figlie del jangle pop di quegli anni. La pregevole
fattura dei brani, a doverla dire tutta, non viene accompagnata da una presenza
altrettanto convincente sul palco e più di qualcuno fra i presenti si concede
qualche distrazione.
Dopo di loro, è finalmente
la volta degli headliner di questo
festival, se così possiamo chiamarli, ovvero i norvegesi Young Dreams: cresciuti sotto l’egida del cantautore e
multistrumentista Matias Tellez, son
da poco approdati nel roster dell’australiana Modular Records (Cut Copy, Yeah Yeah Yeahs) dopo
una manciata di singoli e una serie di festival in giro per l’Europa. Attendere
il loro live vale tutta la candela di
questo Contronatura; vederli suonare sul palco, nella perizia e assoluta
pulizia strumentale e nel loro stile impeccabile è la scommessa assolutamente
vinta. La proposta dei norvegesi gravita attorno a un pop psichedelico che,
finalmente, riesce a non rimanere incatenato nei riferimenti che insegue, dalle
hipsterie da giungla figlie degli Animal Collective (e soprattutto di Panda Bear), a un melodismo e un gusto
per l’arrangiamento che riportano alla mente certe produzioni barocche del John Cale solista. Aria pulita d’alta
montagna si respira nell’attitudine corale e armonica di alcuni brani, che non
può non rimandare ai Fleet Foxes o a
certo modernariato tropical alla Vampire
Weekend. Un anticipo sui tempi, insomma, e a pochi mesi dal suo esordio per
una band che potrebbe fare la differenza sul mercato indie internazionale. A
chiudere la serata l’istrionica svedese Elliphant
e i suoi beat electro e minimal, contesi tra hip-hop ed elettronica da ballo,
anche lei alla vigilia del suo esordio discografico ma con già diversi singoli
all’attivo.
Il Contronatura è almeno il terzo
festival di questa estate (dopo il Lottarox
e il Bikini Kill tenutisi entrambi
tra luglio e agosto al Parco Gondar di Gallipoli) che cerca di spostare
l’attenzione sulla scena indie rock italiana e internazionale, sintonizzandosi
su frequenze e territori inevitabilmente all’oscuro di certi riflettori. Onore
dunque a chi decide di investire in questa direzione, a prescindere dalla
riuscita o meno della manifestazione. La patologia di fondo sarebbe partire
dall’idea che reparti come questo debbano essere per forza relegati – per
attitudine o poca stima di sé – alla nicchia dei “soliti quattro gatti” e
pertanto non avere futuro. La discreta riuscita di questa prima edizione
suggerisce invece che non sarebbe affatto difficile sognare una qualche
continuità anche per questi altri salenti possibili, con la giusta caparbietà e
magari cercando di essere velatamente più accondiscendenti sulla scelta dei
nomi, optando per realtà meno di nicchia anche se valide. Insomma, in bocca al
lupo.
Gianpaolo D’Errico
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