venerdì 27 luglio 2012

LE DIECI FERMATE DI FILO-BLUES


Intervista a Roberta Faccani

Dopo aver sconvolto il mondo dei Matia Bazar con generose e irruenti pennellate di blues, ora Roberta Faccani è pronta a elettrizzare la scena del cantautorato femminile italiano. Sperimentazioni vocali si snodano in una danza dal sound incalzante, che tesse l’alchimia tra due dolci ma opposte metà. È “Controtempo”, singolo in spericolato equilibrio amoroso, ad annunciare l’album del suo debutto da solista, di prossima uscita. A undici anni di distanza da “Rido”, il suo primo brano lesbo-shock cucitole addosso da Angela Baraldi, e a sette anni dalla versione Mina-impazzita sul palco del teatro Ariston di Sanremo con “Grido d’Amore”. Oggi è Nando Sepe, produttore di dive (Oxa, Mietta, Pravo, le sorelle Bertè), a puntare su di lei. Vulcanica e sopra le righe, come i personaggi che ha interpretato in musical di successo – da Joanne, l’avvocato omosessuale di “Rent”, alla Regina di Cuori di “Alice nel paese delle meraviglie” –, fa perdere la bussola dell’orientamento anche al Filo-Blues, che invece di fermarsi viaggia veloce, in controtempo.

1) Qual è il peccato peggiore per un musicista?
A mio avviso l’egocentrismo, che lo porta spesso nella vita a scegliere sempre e solo la musica, prima dei sentimenti. E sul palco, quando “si suona troppo addosso” e non sa accompagnare. Chi fa troppi assoli ma non sa tenere una ritmica, per esempio!

2) Che cosa ti fa ridere?
Mi fa ridere (in senso positivo) chi si autoironizza... gente come la Marchesini, per esempio, o il Grillo dei migliori tempi comici. E la mia faccia quando mi prendo in giro da sola davanti allo specchio. In senso negativo, i narcisisti patologici perché oggi li riconosco al volo e mi fanno molto ridere. E li tengo a debita distanza.

3) Associa tre brani a tre stati d’animo.
“Every Breath You Take” dei Police: la spensieratezza dell’adolescenza; ”Only You” dei Toto: lo struggimento sentimentale; “Controtempo” di Roberta Faccani: la sensazione di libertà assoluta.

4) In che cosa credi?
È facile, lo sanno tutti… in Cristo, in Dio, perché ho provato sulla mia vita il suo forte intervento quando era ora. E poi credo nell’onestà delle idee e del duro lavoro.

5) Chi è il musicista più significativo di sempre?
Troppi ce ne sono. Bisognerebbe partire dalla musica classica perché già lì è stato inventato tutto. È chiaro che nel pop si parla sempre dei Beatles, e non a caso. Però mi permetto di essere un po’ meno retroattiva, e personalmente direi i Toto (tutti insieme), per aver inventato un sound tutto loro che mi ha sempre conquistato. Se devo scegliere poi uno di loro dico Steve Lukather, che è il mio chitarrista del cuore.

6) Che cosa ti fa più paura?
Mi fa paura chi dice una cosa, e te la giura davanti agli occhi, e poi fa esattamente l’opposto. E poi rifuggo dagli invidiosi: brutte bestie, quelli!

7) La musica svolge un ruolo sociale?
Il fatto stesso che un brano che ti piace e ti dà brividi e emozioni ti possa “svoltare” l’umore è già un fattore sociale importante. In senso più lato, la musica è il linguaggio universale che non ha bisogno di traduttori simultanei per essere capito. Dunque è il miglior modo per comunicare e far rapportare gli esseri umani di ogni genere, razza, cultura, religione.

8) Qual è il tuo ricordo musicale più vecchio?
Il primissimo che amo ricordare: io seduta sul divano di casa di mia zia, la notte di Natale di quando avevo nove anni, che ascolto e mi commuovo ascoltando – come in estasi – il primo 33giri di Nikka Costa. Un’emozione indimenticabile... la felicità totale.

9) Qual è il rumore che ti disturba di più?
Non mi piace chi urla al prossimo. In generale il suono della maleducazione e dell’arroganza. E poi i botti di Capodanno: li detesto!

10) Cosa non vorresti mai sentire alla radio o vedere in televisione?
Lascio che si possa ascoltare o vedere di tutto. Se non mi piace, cambio canale!

Ugo Stomeo

lunedì 23 luglio 2012

STORMY MONDAY #18


Vento d’estate (...) forse mi perdo

La tramontana ha spazzato via l’afa degli ultimi tempi e mi ha fatto volare il cappello. Ho appuntato tutto sui fogli del taccuino, ma sono volati via anche quelli.

Cerco di riordinare le idee, ma il vento soffia forte e finisce per portarmi la testa sulle nuvole. Ed è sulle nuvole che incontro Max Gazzè. Ma l’incontro dura poco: il cantautore che portava i baffi ben prima degli hipster dell’ultima ora (e soprattutto senza tutta quella spocchia) deve scendere sulla terra, a portare il suo “Quindi? Tour” a Lecce, in piazza Libertini (il 20 luglio). È ormai in giro da più di un anno con la sua band, a proporre un live energico e raffinato, che alterna i pezzi più celebri (“Il solito sesso”, “Una musica può fare”) a brani dell’ultimo disco “Quindi?”. Nel frattempo prepara il materiale per il nuovo album, e coltiva la carriera da attore (dopo “Basilicata coast to coast”, ha anche debuttato nel musical “Jesus Christ Superstar”, nel ruolo di Erode). Stakanovista. Potrebbe restare un altro po’ con me sulle nuvole, alla fine si sta bene, c’è un bel fresco e un ottimo panorama.

Da sopra le nuvole posso colmare le distanze con lo sguardo, e vedere due palchi lontani ma vicini tra loro, su cui contemporaneamente – il 18 luglio – si esibiscono quelle che i giornalisti in ciabatte etichettano come le “donne del rock”. A Bari, all’Arena delle Vittorie, la casalinga internazionale del pop italiano Laura Pausini (che tra qualche giorno sarà di scena anche a Lecce, allo stadio Via del Mare); a Molfetta, presso la banchina san Domenico, Patti Smith. Ora, la definizione che spesso accompagna Patricia, la “sacerdotessa del rock”, oltre che banale, è pure brutta. Patti Smith è più una sopravvissuta: alle morti premature di marito (il dimenticato chitarrista degli MC5, Fred “Sonic” Smith) e amici (Robert Mapplethorpe); sopravvissuta alla New York degli anni Settanta, come racconta nell’autobiografico libro “Just Kids”. Ma soprattutto è sopravvissuta la sua credibilità artistica dopo  quel girone dantesco che è il Festival di Sanremo. Durante il live Patti presenta l’ultimo album “Banga” – discretamente accessibile nelle sonorità e accolto positivamente dalla critica –, ma non dimentica i classici: “Gloria”, “Dancing Barefoot”, “People Have the Power” e “Because the Night”, e con il suo carisma magnetico cattura l’attenzione di tutti i presenti. E anche la mia.

Tutto preso dalle parole di Patti Smith non mi accorgo di un’improvvisa folata di vento che mi riporta coi piedi per terra, in mezzo alla gente. Senza più la mia posizione privilegiata di osservatore, cerco controvoglia allora di ricordare che cosa è successo:  ricordo tante sagre, anche se non so bene di cosa fossero, ma alla fine non importa, è il concetto di sagra che conta. Ricordo gli InSintesi e il loro “Fimmene in dub”, e la presentazione della XVI edizione del festival itinerante “La Ghironda Summer Festival” (che il 13 agosto porterà a Martina Franca Vinicio Capossela). Ricordo gli Opa Cupa a Torre Regina Giovanna, Jackinthehead, Erica Mou, Fabrizio Bosso e il trio Di Leone-Bassi-Campanale; i Ghetto Eden e il Premio Barocco a Gallipoli; ricordo il divertentismo becero, anche se quello – onestamente – vorrei dimenticarmelo. Ma alla fine è estate, bisogna sopportare i vocalist, le apericene e i flyer dei locali più cool che, non appena la pr si volta di spalle, irrimediabilmente volano via. Proprio come il mio cappello.

Gianmarco Bellavista

venerdì 20 luglio 2012

BONUS TRACK


Quattro chiacchiere in rock. Intervista a Jessica dainese

«The future of rock belongs to women» diceva Kurt Cobain. È proprio grazie al re del grunge che nasce la passione per la musica di Jessica, giornalista e appassionata che per prima arriva a scrivere  un libro sul rock femminile in Italia. Quarant'anni di rock femminile italiano in 200 pagine piene di fotografie, curiosità e notizie che non troverete da nessun'altra parte. A lei dedichiamo una bonus track.

Il tuo primo ricordo musicale.
Il primo in assoluto? Uno dei primi: quando ero piccolina, prima metà degli anni Ottanta, mi piaceva molto Alberto Camerini. Chiamavo le radio locali che facevano canzoni a richiesta e chiedevo “Tanz bambolina”. Da bambina mi piaceva molto questa immagine da bambola. E questo credo sia il mio ricordo più vecchio.

Credi in un mondo tutto rosa o nero e rosa?
Non vorrei dividere il rock in nero e rosa come genere maschile e femminile. Secondo me la musica – il rock – non dovrebbe avere genere o sesso. Ho sentito la necessità di scrivere questo libro perché in Italia non c’erano libri che parlassero delle band femminili. Soprattutto di quelle degli anni Sessanta, Settanta, Ottanta. Magari quelle più recenti riescono ad avere più spazio, però le storie delle band più vecchie rischiavano di andare dimenticate. Vorrei che non ci fosse stato il bisogno di scrivere un libro sulle donne del rock, perché significava che son trattate in maniera paritaria nelle riviste di musica e nei libri dedicati al rock. Invece quando si parla di rock non si parla di queste band femminili, o se si parla di band femminili non si parla di quelle italiane, perché magari si parla delle Hole, di Patti Smith, ma delle donne rock in Italia non parlava nessuno.

Da dove nasce il fenomeno delle band al femminile?
Beh, diciamo che fin dalla nascita del rock ci sono sempre state interpreti, musiciste o anche band, perché anche in Italia negli anni Sessanta nella scena beat c’erano molte band di ragazze. Però secondo me il momento favorevole alla nascita di band femminili per come le intendiamo oggi è stato negli anni Settanta, quando la musica punk ha incontrato il movimento femminista. Dall’unione di questi due movimenti sono nate le prime band indipendenti di donne, come le Slits, le Raincoats, o come in Italia le Clito. In italia, prima delle Clito, le band non erano molto indipendenti: erano formate dal manager, o dal padre che aveva delle figlie che studiavano al conservatorio. Non erano esperienze che nascevano da loro.

C’è un'artista che ti ha ispirata maggiormente o che magari ti rappresenti meglio?
Kathlee Hanna delle Bikini Kill. Ho iniziato ad ascoltare musica rock quando ho scoperto i Nirvana. E poi grazie ai Nirvana ho scoperto le Hole e tutte le band della scena Riot grrrl che erano amiche di Kurt Cobain, come le Bikini Kill. Kathleen Hanna ha rappresentato la figura più importante perché da lì ho conosciuto il movimento Riot grrrl, mi sono messa a scrivere fanzine e ho conosciuto moltissime ragazze in Italia che suonavano, facevano fanzine, facevano foto. E lei è stata un esempio anche per altre band, sicuramente.

Qual è secondo te il peccato maggiore per una musicista?
Per una musicista donna? Secondo me quando cercano di copiare i cliché maschili del rock. A me piacciono le Runaways , ad esempio, ma replicavano i cliché maschili del rock nel modo di porsi, di suonare e di vestire. Invece ad esempio band come le Sleeps, le Raincoats mettevano nella musica un lato femminile forte. Io preferisco questo tipo di approccio anziché copiare le band maschili.

C’è una cosa che ti fa paura?
Paura, no. Ma mi dispiacerebbe perdere la passione per la musica, non saprei che cosa fare.

Cosa ti fa ridere?
South park! South park mi fa ridere!

C’è un rumore che ti dà fastidio?
Non mi piacciono i bambini che piangono! Soprattutto in treno. Ho fatto sette ore di treno venendo qui con dei bambini che piangevano.

Associa tre brani a tre stati d’animo
“Angela” dei La Crus, che è di Tenco. Tristezza.
“Rockstar” delle Hole. Allegria, mi dà carica.
“White boy” delle Bikini Killer. Rabbia.

Secondo te le note musicali possono avere un potere sociale?
Sicuramente. Molte delle band che ho intervistato – soprattutto degli anni Settanta e Ottanta, e della scena riot grrrl – usavano la musica per trasmettere un messaggio sociale, che arrivava al mondo. La musica è sempre immediata.

Cosa dici alle ragazze del rock?
Si dice che le donne sono gelose tra loro e che non fanno comunità come i maschi, e secondo me questa cosa non è vera, perché ci sono delle ragazze come le Roipnol Witch, che hanno creato un movimento che si chiama Rock with Mascara che unisce le band femminili di tutta Italia. Fanno network, si danno informazioni, e c’è un rapporto di amicizia, che è molto importante. Secondo me le band di oggi dovrebbero creare questo. Perché è più facile farcela insieme. Farcela da soli è più difficile.

Nadia Vecchio

lunedì 16 luglio 2012

STORMY MONDAY #17


Memorie a rischio

Il Salento è nella morsa rovente di una triade meteorologica senza precedenti. Scipione, Caronte e ora Minosse sono i tre anticicloni subtropicali sahariani che stanno infiammando l’estate, in particolare quella salentina, già calda di suo.

A rendere ulteriormente infuocata la situazione generale ci pensano le manovre anticrisi del nostro sempre attivo eroe Super-Mario Monti, in lotta contro lo spread e i danni accumulatisi in anni passati. Le cui posizioni, però, rispetto alla cultura, si  pongono «in direzione ostinata e contraria», tanto per citare De André. Una riga del decreto legge 95 del 6 luglio 2012 (la famigerata Spending Review) sopprime con nonchalance l’Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi (ICBSA), ente pubblico che nel 2007 aveva preso il posto della Discoteca di Stato, acquisendone competenze, personale e risorse. Creata nel 1928 dal re Vittorio Emanuele III, su iniziativa del cantautore dell’avanguardia futurista Rodolfo De Angelis, con la finalità di raccogliere e diffondere «dischi fonografici riproducenti la voce di cittadini italiani benemeriti della Patria», la Discoteca di Stato negli ultimi anni – grazie al progetto Discografia Nazionale della Canzone Italiana, curato dal cantautore, giornalista e conduttore radiofonico Luciano Ceri – ha messo online una preziosa cassaforte in cui è stata riversata l’immensa produzione nazionale di musica. Un vero e proprio Museo dell’Audio-visivo, segnalato anche dall’Unesco nel progetto “Memoria del mondo”, nato per conservare uno straordinario patrimonio sonoro nazionale, raccolto in ottant'anni di fatiche.
Tutto questo oggi è incredibilmente a rischio dissoluzione. Cosa ne sarà della ricchissima collezione di strumenti storici per la riproduzione del suono? E quindi di fonografi, grammofoni e altri apparecchi dalla fine dell’Ottocento agli anni Cinquanta? E dove finiranno i quasi 500.000 supporti archiviati, a partire dai cilindri di cera e dalle lacche a 78giri di De Angelis con le voci dei protagonisti della storia italiana del Novecento, per non parlare dei preziosi archivi del Folk Studio di Roma, fino ai cd, ai dvd e ai blu-ray di oggi? Dopo gli attacchi a Cinecittà e alla Cineteca Nazionale, anche il destino della memoria storico-sonora della nostra Italia sembra in serio pericolo. All’Icbsa si chiedono: «Come mai nel testo di un dispositivo legislativo finalizzato a reali risparmi a livello nazionale viene espressamente nominato un istituto storico, unico nel nostro paese, che non ha auto blu, non effettua alcuno spreco di denaro pubblico, con un budget ridotto a livelli di sussistenza?». C'è chi suggerisce la volontà di riappropriarsi della sede storica dell'istituto, per finalità più lucrative. In trincea anche Renzo Arbore, collezionista doc, che a proposito del decreto legge dice: «È stato scritto da chi ignora l’importanza della musica accademica e popolare, di come questi documenti siano essenziali per la memoria che suscitano, perché la musica del passato fa nascere la musica del futuro». E aggiunge: «Come può uno storico ricordare l’epoca delle sanzioni mussoliniane senza ascoltare anche il brano che De Angelis scrisse allora, intitolato Sanzionami questo, tra i primi esempi di canzone dal doppio senso?». Non ci resta che unirci al mondo culturale e musicale italiano sottoscrivendo l’appello per la revisione del decreto di soppressione (con un’e-mail all’indirizzo nonchiudiamoicbsa@yahoo.it, oggetto “sottoscrizione appello” e nel testo nome e cognome o nome dell’istituzione, ente, associazione che si rappresenta).

Nonostante questa tendenza squisitamente italiana a trascurare la cultura come capitale umano da salvaguardare e su cui investire, a introdurci negli eventi musicali più interessanti di questa seconda e incandescente settimana di luglio una triade festivaliera partita venerdì 13. Tre giorni sul lungomare di Torre dell’Orso con il “Soul Food Rock Festival”, aperti meravigliosamente da The Girl with the Gun, ossia Matilde Davoli (leader degli StudioDavoli) & Populous (al secolo Andrea Mangia). L’eterea vocalità di lei si fonde con le sperimentazioni elettroniche di lui creando un’atmosfera onirica e trasognata, venata di palpitante malinconia. Sperimentazioni che mescolano black music, british pop e country nel secondo giorno, con il nuovissimo album di Tobia Lamare & The Sellers, “Are you ready for the freaks?”, mentre la serata di chiusura si tinge di garage punk con gli americani The Rejects.

Sempre una tre giorni di festa per la prima edizione del “Salento Tamburello Festival”, presso il Parco degli Ulivi di Sannicola, dedicata allo strumento simbolo del Salento, nonché anello di congiunzione fra tutti i paesi del Mediterraneo. Per rianimare i processi culturali e promuovere il territorio: masterclass, conferenze, esposizioni e concerti-evento affidati ai suggestivi Yar Ensamble (mix di musicisti italiani, indiani e iraniani), ai seducenti Zyriab (trio composto da strumentisti provenienti da Marocco, Libano ed Egitto) e ai tradizionali Ajara Duo, ovvero i salentini Giuliana Gnoni (voce) e Maurizio Mangia (chitarra classica, mandoloncello, tamburello). Il “Green Sound Festival” invece riparte, per la sua terza edizione, dal binomio ambiente-legalità, scegliendo come location il Parco Angelica – sulla provinciale Alezio-Parabita –, un centro polifunzionale sorto su un terreno confiscato alla mafia e dedicato alla piccola Angelica Pirtoli, vittima innocente della Sacra Corona Unita. Una lunga e intensa giornata aperta dalle importanti parole di Rita Borsellino, tra iniziative di sensibilizzazione ambientale, proiezioni cinematografiche, mostre fotografiche e un finale in musica. Ad aprire l’atteso concerto di Roberto Dellera, bassista degli Afterhours al suo debutto da solista con l’album “Colonna Sonora Originale”, il dj-set di Cesko degli Après la Classe e due nuove band salentine: Dolcemente e My Secret Windows.

La triade concertistica di rilievo nella seconda settimana di luglio si apre giovedì 12 con l’Angela del rock. Il “Punk e Disciplina – Sbrai Tour” di Angela Baraldi & Massimo Zamboni fa tappa a Corigliano d’Otranto. La cantante e attrice bolognese – già vincitrice del Premio Mia Martini al Festival di Sanremo 1993 e protagonista nel film “Quo vadis, baby?” di Gabriele Salvatores – torna a esibirsi con lo storico co-fondatore e chitarrista dei CCCP, in vista di un secondo album insieme, previsto per fine settembre e anticipato dal singolo “Sbrai”. Venerdì 13 si cambia totalmente musica, nell’atrio del Palazzo dei Celestini di Lecce, con il maestro argentino Luis Bacalov, al pianoforte con l’Orchestra Sinfonica Tito Schipa diretta da Marcello Panni. Il compositore, premio Oscar per le musiche del film Il postino, torna a Lecce per eseguire il suo recentissimo “Concerto per pianoforte e orchestra“. Protagonista di sabato 14 luglio è invece la sofisticata lady della canzone italiana, Antonella Ruggiero, accompagnata da Fabio Zeppetella alla chitarra e da Ramberto Ciammarughi al piano. La magia della voce storica dei Matia Bazar si sprigiona all'interno di un un quadro cangiante ed etereo, che fluttua dalla musica classica alla musica jazz con stile ed eleganza.

La colonnina di mercurio sale sempre più e scioglie la settimana con l’ultima triade musical-visiva, segnata dall’uscita dei videoclip dei nuovi lavori di tre giovani e promettenti artisti salentini: Mino De Santis con “Lu 'cumpagnamentu”, biglietto da visita dell’album “Caminante”; i Muffx con “Dopotutto”, terzo singolo estratto da “Époque”; e il duo composto da Marco Ancona & Amerigo Verardi con “Stanco, stufo, stupido”, tratto dall’album “Il diavolo sta nei dettagli”.

Ugo Stomeo

lunedì 9 luglio 2012

STORMY MONDAY #16

Trittici e terzine

Gli addii, quelli che partono, quelli che restano. Tra afa palindroma ed evocazioni demoniache congediamo un inizio di luglio tra i più caldi che ci si potesse inventare. Da tutti i punti di vista.

Non si può guardare la settimana appena passata solo con due occhi, tanto meno ascoltarla solo con un paio d’orecchie. Per una contezza precisa di tutte le esperienze acustiche nell’aria del Tacco da lunedì a domenica avremmo dovuto possedere il segreto della moltiplicazione, il cui brevetto purtroppo è detenuto – in via del tutto esclusiva – da colui che è secondo per popolarità solo ai Beatles (e che di nome fa Gesù). Ad oggi, ahimè, possiamo solo attenerci all’utilizzo di strumenti cubisti, sperimentando l’applicazione pratica della simultaneità della visione e dell’ascolto: su e giù, dentro, oltre e intorno l’abbacinante palcoscenico pugliese, cercando, attraverso il metro centrale dello spettatore, di farne un quadro.

Anzi, un trittico. Stati d’animo di Umberto Boccioni (1911) sintetizza in tre immagini il variopinto scenario d’avvio stagione. Tre momenti tre, come le terzine declamate da calembour giornalistici molto meno creativi di certi meteorologi […lasciate ogne speranza voi ch’aspettate l’abbassarsi delle temperature]. Tre come i festival Jazz che hanno punteggiato le serate su binari paralleli da Bari e Lecce: il S. Martin Jazz Festival a Giovinazzo, che riporta in Puglia la tromba di Fabrizio Bosso in duo con il pianista Fabio Filippini; il Jazz Ciak Gulp, festival “Jazz in Veglie” alla sua settima edizione, che ci ha offerto la dose settimanale di ritmi sincopati della porta accanto, con le esibizioni del Mauro Tre Trio (Tre-Alemanno-Congedo) e del contrabbassista Marco Bardoscia con il suo “The dreamer”, alle spalle i fidati Casarano, Greco e Accardi. Poi la corposa programmazione del Bari In Jazz, organizzato da Abusuan con la direzione artistica del sassofonista Roberto Ottaviano, che ha reso Bari fuoco vivo del meticciato culturale mediterraneo, facendo incontrare sullo stesso lungomare i portoghesi Maria João e Mário Laginha con l’Orchestra Sinfonica della Provincia di Bari; il violoncellista e compositore Paolo Damiani con l’eterogenea Vanishing Band; il “mago degli incontri musicali” Majid Bekkas che ha riunito sotto l’egida del Progetto Makemba il suo oud marocchino, il clarinetto francese di Louis Sclavis e il celebre balafonista Aly Keita; e …voci alte e fioche, e suon di man con elle per la prima nazionale Crossing the Borders, a nome della pregevole Maria Pia De Vito, che fra le altre cose è anche in tour con gli Area.


E ancora avessimo conservato un ultimo respiro, l’abbiamo esalato domenica con Chick Corea: il folle oriundo siciliano naturalizzato tastierista di Miles Davis (“In a Silent Way”, “Bitches Brew”), prima di abbandonarne il tracciato per lanciarsi in una illuminata carriera. Pioniere del Rhodes, vincitore di 18 grammy e leader della Chick Corea Electric (di tanto in tanto Akoustic) Band, nonché perno di fruttuose relazioni artistiche (Béla Fleck, del 2007 il loro “The Enchantement”, e la veste delicata con Gary Burton), si presenta a Bari in camicia hawaiana e un intimo piano solo.

Quelli che partono al solco di rotte esterne sono anch’essi tanti e diversi: incardinati in questa terra bruciata dal sole e dal sole invecchiata, gettano il cuore oltre i confini regionali e migrano (sostenuti dallo scudo di Quelli che restano, e a volte da Puglia Sounds) in forma di supporto discografico. È il caso della cantante-trombettista
Grazia Negro che esordisce con Ragazze Forty, registrato ai Posada Negro di Roy Paci a Lecce, con la variegata collaborazione di Daniele di Bonaventura, Mauro Ermanno Giovanardi, Primo dei Cor Veleno, Tayone ed altri; di Papa Ricky che presenta Villa Barca, compendio di vent’anni di attività da antesignano del raggamuffin, realizzato insieme al suono fresco della new generation (Dema e Kusci, Steela – Fratelli Gioia, Saska Chewa – Adriano Sure, Boomdabash); e Insintesi con Miss Mykela che, altrettanto freschi di stampa, presentano “Fimmene in Dub”, quando il Sud dell’Italia (Anna Cinzia Villani, Enza Pagliara, Maria Mazzotta) incontra il Sud della Francia (Papet Jali), rigorosamente sotto i 60 hertz.


Grandi le Ladies pugliesi (se ancora non s’era capito!), nella settimana del jazz si ritagliano uno spazio grande quanto una casa, “Casa Azul” per la precisione: la dimora della pittrice messicana Frida Kahlo dà il nome al terzo album di Silvia Manco (scuderia Dodicilune), geneticamente pianista e una fantasia che si muove dagli standard alla composizione originale, alla continua ricerca dell’armonia voce-piano ma con radici storiche ben salde. E sempre “Tutta roba pugliese” (Volume 1, http://www.rockit.it/compilation/tutta-roba-pugliese-vol-1/19862) si trova nella prima delle cinque compilation dedicate alla produzione regionale dal sito Rockit.it: 17 brani rigorosamente endogeni, e pensare che si tratta (pare) solo di una «piccola parte dei 100 album prodotti da Puglia Sounds Recording nell’ultimo anno».

Gli addii lì buttiamo lì a chiosa finale, giacché non vorremmo mai dirli, però a volte è tanto meglio smarcarsi dai retaggi rock-adolescenziali dei
Negrita di inizio settimana a Molfetta, perché se c’è chi …dice cose nuove non siete più voi, ragazzi, e il Sud verso cui rotolavate vi consiglia di seguire l’esempio del principe degli snob Agnelli, che dimezza – a ragion di crisi veduta – il prezzo live degli Afterhours. Smarchiamoci anche della performance audiovisiva in località Punta della Suina dell’ultimo Antonacci, capace in 4 minuti – trenta ballerine e un testo imbarazzante – di oscurare una settimana ad alta densità produttiva come questa. Lascia perdere Biagio, ché qui oltre la (tua immagine della) pizzica c’è di più.

Elisa Giacovelli

sabato 7 luglio 2012

LE DIECI FERMATE DI FILO-BLUES


Intervista a Fabio Cinti

Seguendo l’esempio di una come Amanda Palmer, Fabio Cinti ha chiesto l’aiuto dei fan per pubblicare la sua seconda opera, trovando tre ammiratori disposti a investire sul talento. È così che l’ex pupillo di Morgan – musicista metà ciociaro metà sardo, additato dalla critica non mercenaria come «il Battiato del nuovo millennio» – è tornato a farsi sentire con Vigilia e Memorabilia, due facce di una stessa medaglia. “Il minuto secondo” è infatti un disco con due album in uno – ma al prezzo di mezzo – che rispedisce al mittente, con classe e sberleffo, l’accusa secondo cui la nuova generazione d’autori si sta spegnendo. E punta il dito contro i discografici d’oggi, non più alla ricerca dell’estro artistico che si evolve e resiste al tempo ma di quell’attimo fuggente costruito in tv e fatto del nulla cosmico. Sul Filo-Blues, in un viaggio diacronico, scivoliamo nell’intimo del suo ricco fondale, da cui riaffiorano tracce d’importanti maestri musicali e un romanticismo tanto desueto quanto affascinante.

1) Qual è il peccato peggiore per un musicista?
Un musicista deve peccare per conoscere il cielo e la terra. Quindi potrei risponderti: qual è il peccato migliore? Ma la domanda non era questa...

2) Che cosa ti fa ridere?
Mi fa ridere (nel senso che mi mette di buon umore) la naturalezza, l’arguzia, la capacità di sorprendere, anche con il linguaggio.

3) Associa tre brani a tre stati d’animo.
Ogni canzone ha la capacità – se è una canzone vera – di stravolgerti l’anima, di farti passare dalla malinconia alla spensieratezza nel giro di qualche secondo. Mi viene in mente “The Great Gig in the Sky” dei Pink Floyd, che mi fa sentire prima solo nell’universo siderale e poi nell’incanto di un affetto.

4) In che cosa credi?
Credere non è credere che credere sia soltanto credere.

5) Chi è il musicista più significativo di sempre?
Oh mamma! Non credo di essere in grado di rispondere... no, non credo proprio, anche perché cadrei nella trappola del giudizio.

6) Che cosa ti fa più paura?
La stupidità e l’ignoranza quando salgono al potere possono determinare anche la fine di una civiltà, distruggere anni di evoluzione sociale, tecnologica e intellettuale. Distruggere gli affetti e la dolcezza. Credo che la cattiveria sia meno grave.

7) La musica svolge un ruolo sociale?
Assolutamente sì, più di quanto si pensi, più di quanto non ci si renda conto. Invece di insegnarci chi sia stata «Luigia Pallavicini (caduta da cavallo)» non sarebbe più giusto e necessario conoscere Giuseppe Verdi e le sue opere? Ho scoperto da poco che esiste un liceo musicale (una grande sorpresa tra i tanti danni della Gelmini), meno male.

8) Qual è il tuo ricordo musicale più vecchio?
Mio padre che ascolta “Cucurrucucu Paloma” (di Méndez) cantata da Harry Belafonte.

9) Qual è il rumore che ti disturba di più?
La voce umana usata a sproposito.

10) Cosa non vorresti mai sentire alla radio o vedere in televisione?
Così come sono adesso andrebbero abolite sia radio che tv. Non salvo niente. Quello che di buono c’è in tv si trova tranquillamente in internet. Forse una speranza c’è ancora nelle radio indipendenti, ma noto che anche i piccoli tendono a voler accontentare le masse invece di tentare di educarle o semplicemente di scegliere senza condizionamenti.

Ugo Stomeo

domenica 1 luglio 2012

STORMY MONDAY #15


La musica e gli incontri di culture

Uno dei “ritornelli” che si sente più di frequente è che la musica sia universale, sia cioè un linguaggio comune a prescindere dalla cultura, e sia soprattutto espressione e veicolo delle emozioni di ogni abitante del pianeta.
Quanto c’è di vero in tutto ciò? Il buon vecchio Pirandello diceva: «Il guaio è che voi, caro, non saprete mai, né io vi potrò mai comunicare come si traduca in me quello che voi mi dite. Non avete parlato turco, no. Abbiamo usato, io e voi, la stessa lingua, le stesse parole. Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per se, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell’accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d’intenderci; non ci siamo intesi affatto».
Il discorso per la musica è pressappoco lo stesso.
Già ammettere che la musica sia un linguaggio, utilizzabile in situazioni comunicative e capace di veicolare un qualche messaggio – sia pure a livello emozionale o psicologico – o indurre l’ascoltatore a precise reazioni, è rischioso. Figurarsi crederlo linguaggio universale. Esistono infatti talmente tanti ceppi linguistici e relative lingue, anche più di una per Paese, senza considerare i dialetti, che viene naturale pensare che anche il linguaggio musicale sia per forza di cose differente a seconda della cultura di ogni popolo.
Ma non tutti la pensano così. Questo argomento infatti, è spesso al centro dell’attenzione quando si parla di musica, e numerosi studi scientifici hanno provato a dimostrare tesi differenti da questa. Data per certa l’esistenza di linguaggi musicali diversi per cultura, stile di vita e mezzi a disposizione, si ritiene infatti esista comunque in profondità una sensibilità comune a determinati stimoli. Le attenzioni si sono concentrate sulle emozioni che l’idioma musicale suscita. Proprio tali emozioni sono considerate universali, al punto che la musica viene ritenuta come il mezzo più efficace per favorire la comunicazione fra i popoli, proprio perché si fonderebbe su basi comuni a tutti gli esseri umani.
D’altro canto, però, ogni cultura possiede un linguaggio musicale proprio e specifico – fatto di organizzazione di suoni, ritmi, armonie, sonorità, strumenti e forme – che a loro volta riflettono modi di pensiero, ideologie, credenze, usanze e caratteristiche ambientali peculiari di ogni popolo. Il concetto di musica come linguaggio universale, partendo da questi presupposti, va da sé, vacilla un po’.
Inoltre, che la musica sia un linguaggio universale è una convinzione tutta eurocentrica, retaggio di secoli di pensiero occidentale dominante. «La sicurezza che abbiamo nel pensare che una sinfonia di Mozart possa commuovere un indigeno dell’Amazzonia, poggia sulla sola vana nostra certezza di possedere la verità del suono e del verbo» analizza CesarePicco, compositore e pianista italiano «la musica, o meglio le musiche del mondo, sono come le lingue. Ogni lingua ha la sua grammatica, le sue regole, e così è per la musica».

Partendo da queste ultime considerazioni, è significativa e bene augurante la crescita di eventi interculturali registrata, nel Salento e in Puglia – zona da sempre crocevia di popoli e culture – all’alba di una nuova estate, periodo per eccellenza dedicato a spostamenti e a voglia di conoscenza attraverso viaggi (ideali e non).

A proposito di culture mescolate infatti, nella settimana appena trascorsa, il Salento ha accolto una grande manifestazione dedicata al Tango, patrimonio immateriale dell’umanità per volere dell’Unesco. Organizzata dall’Associazione Blutango, l’evento Salento in Tango è stato un connubio di danza, cultura e musica che ha unito l’anima argentina a quella del Salento: lezioni di tango affiancate a quelle di pizzica, prodotti enogastronomici della terra salentina accanto a stand argentini delle più importanti aziende di abbigliamento dedicato al tango. Due culture, insomma, rivelatesi più vicine di quanto non si pensasse.

Di incroci di culture e generi si parla anche a Bari. Dal 23 giugno al 5 agosto infatti si svolge il Summer Music Village: un grande “contenitore culturale” che apre la città a musica, festival, film e stand, per provare a valorizzare il lungomare Imperatore Augusto qualificandolo come luogo di socialità e di incontro. «Cuore pulsante del Summer Music Village è un grande palco allestito nel piazzale Cristoforo Colombo, nei pressi dell’ingresso principale del Porto di Bari. Uno spazio che rappresenta il trait d’union ideale fra i crocieristi di passaggio e la magia del centro storico, così come fra la movida barese e la suggestione del lungomare». Fra le varie attività, spazio a: una delle Lezioni di Rock (25 giugno) di Ernesto Assante e Gino Castaldo, dedicata a Bob Marley, intitolata “Vita e miracoli del profeta del reggae”; un’esibizione degli Afterhours (26 giugno); uno spettacolo di Ambrogio Sparagna con la partecipazione di Francesco De Gregori (“Vola Vola Vola”, il 29 giugno). Il tutto nel programma della rassegna musicale “Di Voce in Voce”, che nell’edizione di quest’anno ha avuto come centro d’interesse «lo sguardo d’autore attraverso la musica di tradizione, le voci e i canti di terra e di mare». Tre concerti al giorno che hanno offerto un’utile panoramica sulle musiche di confine e sulla visione d’autore della world music mediterranea. Una musica fatta di contatti, alla ricerca delle radici dell’uomo, nell’idea che la lettura del “sentimento del mondo” ci possa aiutare a capire il nostro tempo e sappia suggerirci un possibile viatico. A concludere la settimana il concerto dell’Orchestra La Notte della Taranta, diretta dal maestro concertatore Ludovico Einaudi, che ha presentato brani classici della musica popolare salentina «miscelando tradizione e modernità e spaziando da sonorità elettroniche a melodie tipiche».

Da segnalare poi, non un incontro di culture, ma un interessante incontro di esperti del settore della produzione musicale. Si è svolto in un’antica masseria di Manduria (Ta) dal 26 al 28 giugno, il Quite, please! Summer Camp, un workshop musicale che ha permesso a studenti e appassionati di musica di entrare in contatto diretto con diversi protagonisti della scena musicale italiana e internazionale (produttori, arrangiatori, discografici, musicisti). Tra gli interventi, ottima riuscita ha avuto quello del produttore discografico britannico Trevor Horn, che ha raccontato dei suoi primi passi nel mondo della musica, e quello di Antonio Princigalli, direttore di Pugliasounds, che ha parlato invece della musica come veicolo per la crescita culturale del territorio.

Nel frattempo, la produzione salentina non si è bloccata nemmeno con l’arrivo dell’anticiclone africano Caronte e il suo caldo asfissiante. I Toromeccanica hanno presentato a Gallipoli il videoclip  di “Sospiri”, il loro nuovo singolo tratto da “Star System - Repack”.«Un video in cui» raccontano i ragazzi «si cerca di mettere a nudo la società contemporanea evidenziandone i cambiamenti e la caduta di alcuni valori come quello della famiglia e il matrimonio»; Raffaele Vasquez allo Youm ha annunciato al pubblico di Lecce il suo nuovo album “Senza bastoni tra le ali”. «Questo album» spiega l’autore «nasce dall’esigenza di raccontare stati d’animo, situazioni e sensazioni del momento e di scriverli su carta per poi renderli in forma canzone. I testi raccontano la vita in modo elegante e allo stesso tempo ironico e pregno di nonsense, affidandosi a una scrittura leggera e surreale al contempo. Le sonorità si muovono in modo eclettico lungo linee musicali e acustiche differenti, alternando gli stilemi della canzone d’autore, tappeti acustici pop e ritmiche da bossanova». Anche Combass (Valerio Bruno), bassista degli Aprés la Classe, ha portato l’attenzione verso il suo nuovo singolo dal titolo “Balla la tribù”, candidato a essere uno dei tormentoni dell’estate 2012.

Così come non si bloccano i concerti, tra i quali segnaliamo U’Papun (già protagonisti in Ateneo, a Lecce, poche sere prima) al Villanova di Pulsano (Ta) il 30 giugno scorso: uno spettacolo di musica e teatro dal sound rock che spazia dal cantautorato alla musica etnica, dal folk al funk, dal jazz alla tradizione popolare. La Swing Big Band diretta da Luigi Bubbico è stata in scena al Teatro Romano il 29 giugno scorso, per festeggiare la nuova sede FAI al piano terra del Monastero di Santa Chiara nei locali concessi dal comune di Lecce. Da ricordare anche il quarto appuntamento della Stagione Sinfonica d’Estate dell’Orchestra Tito Schipa dedicata a “Concerti, serenate, opera”, spettacolo tenutosi lo scorso 29 giugno nel Cortile dei Celestini a Lecce, che ha visto come direttore ospite e sassofono solista il maestro Federico Mondelci, da oltre trent’anni uno dei più apprezzati interpreti della scena musicale internazionale.

Ricca la programmazione, irrefrenabile la produzione, attento alle novità il pubblico. Vale la pena forse pensare che la musica (anche qui nel sud-est) forse non sarà un linguaggio universale, ma di certo è un universo di linguaggi.

Silvia Resta